L’art. 29 della nostra Costituzione riconosce espressamente i diritti della famiglia: in questa breve dichiarazione vengono racchiusi una serie di tutele e di diritti a favore di coloro che acquistano lo status di genitore anche a seguito di adozione o affidamento, come vedremo meglio a breve. Tra i diritti previsti a favore di coloro che diventano genitori è incluso il congedo parentale, termine con cui si indica la facoltà del lavoratore dipendente di astenersi dall’attività lavorativa svolta, in modo da potersi dedicare alla cura del bambino.
Trattasi quindi di una facoltà, non di un obbligo come invece avviene per la maternità, obbligatoria per le lavoratrici grazie al congedo di maternità. Inoltre, in maniera simile a quest’ultimo, il congedo parentale spetta a entrambi i genitori, seppure in maniera ripartita. Non spetta invece a quelle lavoratrici/lavoratori che lavorano da casa o sono lavoratori domestici.
La materia del congedo parentale è stata rivista in maniera abbastanza organica con il Decreto legislativo 151 del 2001 , dal momento che cominciavano ad emergere alcune lacune della precedente disciplina, ormai poco aggiornata alle esigenze attuali dei genitori.
Vediamo innanzitutto a chi spetta il congedo: a differenza del passato, tale astensione lavorativa spetta ora sia al padre che alla madre. Il periodo totale non può superare i 10 mesi, che però vanno ripartiti tra i due genitori (anche in concomitanza, ovvero astenendosi entrambi dal lavoro), e che vanno usufruiti entro i primi 12 anni di vita del bambino. Se uno solo dei due genitori ha diritto al congedo parentale, i 10 mesi spettano interamente a lui, senza subire limitazioni.
Cercando quindi di riassumere, il congedo parentale spetta:
Ricordiamo inoltre che, in caso di interruzione del rapporto lavorativo durante il congedo, il lavoratore perde il diritto allo stesso a far data dalla cessazione del rapporto lavorativo.
In caso di lavoratori autonomi, il diritto al congedo varia in base al periodo contributivo sostenuto dal genitore. A titolo esemplificativo, il libero professionista deve aver versato contributi per almeno 3 mesi interi in un arco temporale di 12 mesi precedenti al periodo del congedo.
A condizione quindi che vi sia un rapporto di lavoro in corso, il lavoratore dipendente può inoltrare al datore di lavoro la richiesta di congedo. Tale domanda va presentata prima dell’inizio dell’assenza: il termine minimo è quello di 5 giorni. Nel caso in cui la domanda venga presentata successivamente all’assenza, le giornate di lavoro retribuite saranno solo quelle successive all’invio della richiesta. Se il congedo viene richiesto su base oraria però, il termine di 5 giorni viene portato a 2.
La richiesta va anche inoltrata all’INPS in via telematica o contattando gli appositi numeri per il servizio. In alternativa, ci si può rivolgere presso i vari istituti e patronati competenti a seguire la procedura.
Il tempo medio di elaborazione della richiesta è di 30 giorni, estendibili solo nei casi previsti dalla legge.
Il congedo parentale può essere stabilito su base giornaliera o oraria: l’una soluzione esclude l’altra. Inoltre, durante il periodo coperto dal congedo non è possibile usufruire di altri permessi, ad esempio i giorni di ferie o di malattia, assorbiti dal congedo parentale.
Per quanto riguarda la retribuzione, occorre distinguere a seconda dell’età del bambino:
Attenzione, inoltre, ai termini di prescrizione del diritto all’indennità, che sono abbastanza brevi: 1 anno dal giorno successivo al termine del periodo coperto dall’indennizzo.